Generale Gaetano Giardino (Montemagno 1864-Torino 1935)
Esce dall'Accademia come sottotenente al 8° bersaglieri nel 1882. Presta servizio in vari reggimenti e viene destinato nel 1887 alle truppe d'Africa. A Cassala, nel 1894, il Tenente Giardino guadagna una Medaglia d'Argento coi pochi ufficiali bersaglieri che componevano il comando e lo stato maggiore delle forze coloniali.
Rimpatriato con promozione presta servizio al 6° Reggimento Bersaglieri come capitano. Frequenta la Scuola di Guerra e il Comando di Stato Maggiore classificandosi coi primi. Fra il 1904 e il 1911 è maggiore al 3° Reggimento poi Capo di Stato Maggiore alla Divisione di Livorno e poi di Napoli.
Nel 1912 allo scoppio della Guerra di Libia viene nominato Sottocapo di S.M. del corpo di spedizione. Allo scoppio della Guerra svolge le funzioni di Capo di Stato Maggiore al IV° Corpo d'Armata. Passa con lo stesso incarico, e la nomina a Generale, al II° prima di essere nominato comandante della 48a Divisione. Comanda poi il I e XXV Corpo d'Armata, prima di passare alle funzioni ministeriali (Ministro della Guerra). Dopo Caporetto torna al Comando Supremo con Diaz con delega al comitato consultivo interalleato.
A meta del 1918 viene nominato comandante della IV Armata sul Grappa. Membro del Consiglio dell'Esercito, dal 1923 al 1924 fu governatore dello Stato libero di Fiume. Nel 1926 venne nominato Maresciallo d'Italia. È decorato di Croce dell'Ordine Militare di Savoia, di Gran Ufficiale e Cavaliere di Gran Croce nello stesso. È sepolto nel Sacrario del Grappa vicino ai suoi soldati.
Così scrive il tenente generale Gaetano Giardino parlando della sua armata:
Nata il 17 aprile del 1918.
Ebbe il suo comandante il 26 aprile. Il comandante le scelse il nome di “Armata del Grappa” il 29 aprile (ordine n 6620) In sei mesi ebbe il privilegio, essa sola, di due grandi battaglie senza ombre. Il 15 giugno, la sua bella battaglia difensiva: di lunga mano preparata, breve, tenace, mordente, vittoriosa, solo con le sue forze. Dal 24 ottobre al 3 novembre, la sua dura battaglia offensiva: improvvisa, lunga, sanguinosa, il sacrificio di se, senza limiti, per la salvezza di tutti; essa sola il 70% delle perdite dell'intero esercito in quella battaglia.
Mario Nicolis di Robilant (Torino, 28 aprile 1855 – Roma, 23 luglio 1943) è stato un militare e politico italiano, noto per aver guidato la 4ª Armata del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale.
Mario Nicolis di Robilant nacque a Torino nel 1855, la stessa città dove frequentò nell'agosto 1874 l'Accademia Reale, uscendone sottotenente e assegnato ad un reggimento di artiglieria. Ottenuta la promozione a tenente, Robilant nel 1882 fu inviato presso lo Stato Maggiore del Regio Esercito dove rimase fino all'aprile 1890, quando fu trasferito col grado di maggiore nel 10º Reggimento bersaglieri. L'anno nuovo, il 1891, lo vide aiutante di campo di Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta, e dopo quattro anni, quando era già tenente colonnello, diventò capo di Stato Maggiore della divisione Bologna.
Promosso colonnello, venne incaricato di guidare il 68º Reggimento di fanteria, ma nel 1898 ritornò nello Stato Maggiore dell'esercito. Presto Robilant diventò generale e assunse nel 1903 il comando della brigata Basilicata per poi, nell'aprile 1908, essere destinato al Ministero degli Affari Esteri con l'incarico di addestrare la gendarmeria macedone insieme ai carabinieri.
Tenente generale nel 1910, un anno dopo era al comando della divisione Piacenza prima e della Torino poi, finché non venne nominato capo del XII Corpo d'armata nel 1914.
Allo scoppio della prima guerra mondiale Robilant si trovava al vertice del IV Corpo d'armata che condusse alla conquista del Monte Nero[1], quindi nel settembre 1915 assunse il comando della 4ª Armata stanziata sul Cadore. Il 23 febbraio 1917 venne nominato Senatore del Regno d'Italia giurando il 27 giugno.
Nicolò Alberto GAVOTTI, patrizio genovese, nobile savonese, marchese, nacque a GENOVA 1'8 marzo 1875 da Giuseppe, Ammiraglio della Regia Marina, e da Anna Laura VIVALDI PASQUA dei duchi di S. GIOVANNI.
Ha sposato Adelia dei conti DI BROGLIO ed ha avuto sei figli. E' morto in ALBISOLA SUPERIORE nel palazzo avito il giorno 11 agosto 1950. A 22 anni era già laureato in Ingegneria Civile ed Elettrotecnica. Promosse industrie nella sua GENOVA e nella provincia di SAVONA. Fu uno dei principali collaboratori in quell'opera ciclopica, l'Acquedotto Pugliese, che attraversando l'Italia con opere in galleria, in trincea, su viadotti, porta l'acqua all'assetata PUGLIA.
L'entrata in guerra dell'Italia nel 1915 lo vide partire Ufficiale di complemento volontario, ritenendo Egli che ciò, per Lui, figlio di un soldato, fosse un mandato .
Ufficiale del Genio, lasciò dovunque i segni del suo valore e della sua fattiva genialità. Sul monte SABOTINO prima, poi sui monti VODICE, KUK e SAN GABRIELE, Egli, benché ufficiale di complemento, riuscì, a far prevalere il suo concetto delle fortificazioni in caverna nella difesa - ma con riferimento a quel settore del fronte ed a quel periodo delle operazioni - soprattutto nell'offesa, in luogo dell'allora prevalente criterio di effettuare trincee e camminamenti scoperti e vulnerabilissimi dalle artiglierie avversarie, trincee che qualche volta si arrestavano a più di un chilometro dalla linea nemica. Nelle sue memorie Egli dice giustamente: "i nostri attacchi (1915-1916) contro le ben fortificate posizioni austriache di montagna non avevano una base di partenza sicura; la nostra prima linea era costituita di solito da trincee realizzate con uno scavo poco profondo, completate da muretti in rialzo e non davano riparo contro le artiglierie avversarie, cosicché i reparti destinati all 'assalto dovevano iniziare l'azione dopo aver subito ingenti perdite. I rincalzi, ammassati in terreno scoperto dietro le prime linee, dovevano procedere in zone completamente vedute e battute dal nemico e spesso non riuscivano, a causa delle perdite a raggiungere le truppe cui dovevano portare rinforzo.
Dal Diario di Erwin Rommel Battaglie sul Grappa
Nella notte sul 16 dicembre, il mio distaccamento bivacca a milletrecento metri di altitudine nella neve e nel ghiaccio. Il 16 dicembre viene esplorato il terreno intorno alle posizioni sul cocuzzolo della Piramide, sul Solarolo (quota 1.672) e sul cocuzzolo della Stella. Il nemico continua a difendere tenacemente gli elementi più importanti di queste alture dominanti. Nella notte sul 17 dicembre, un'abbondante nevicata seppellisce le nostre tende. Il giorno dopo il gruppo Sproesser passa all'attacco.
Riusciamo a penetrare nelle posizioni sul cocuzzolo della Stella, a catturare centoventi bersaglieri della Ravenna e a respingere fortissimi contrattacchi nemici. Purtroppo le nostre perdite sono gravi. Il sergente Quante della 2ª compagnia, un ottimo sottufficiale, non ritorna da una perlustrazione. Probabilmente è stato ferito ed è precipitato. Sui ripidi pendii del cocuzzolo della Stella resistiamo, battuti dal violento fuoco dell'artiglieria italiana e tormentati dal gelo, fino alla sera del 18 dicembre 1917; poi, il battaglione da montagna scende a valle per raggiungere Schievenin. Là la posta militare ci consegna due piccoli involti.
Questi contengono le insegne dell’Ordine (pour-le-merite) per il maggiore Sproesser e per me, a quei tempi una ricompensa inaudita per un battaglione. In alcuni paesini a nordest di Feltre trascorriamo la vigilia di Natale. Nella giornata di Natale, i fucilieri da montagna agli ordini del loro vecchio alpino, come viene chiamato il maggiore, s'incamminano ancora una volta attraverso la stretta valle del Piave a sud di Feltre nella direzione del fronte.
Il mio distaccamento prende posizione nel settore del monte Pallone con l'ala sinistra appoggiata al monte Tomba e dà il cambio ai cacciatori prussiani che presidiano quel tratto. Le postazioni delle mitragliatrici e dei fucilieri sono sistemate in piccoli avvallamenti sui ripidi e brulli pendii che offrono ben poca protezione. Il terreno è coperto dalla neve. Il freddo è per il momento sopportabile. Di giorno, i fucilieri devono starsene ben mimetizzati sotto i loro teli da tenda perché tutto il terreno sul quale sorge la posizione è esposto alla vista del nemico. Guai se l'artiglieria italiana o, peggio ancora, una bombarda prende di mira una postazione!